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giovedì 8 gennaio 2015

A repentaglio non solo la già fragile struttura del territorio ma anche moltissime vite umane



Realizzata da Next New Media, “#DissestoItalia” è la prima grande inchiesta sul dissesto idrogeologico nel nostro Bel Paese, un reportage fatto di analisi, immagini, dati e testimonianze per “fare luce su cause e dimensioni del fenomeno in Italia ma soprattutto proporre soluzioni concrete e condivise”
Per 3 mesi hanno collaborato imprenditori (Ance e Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori del CNAPPC), geologi (Consiglio nazionale dei geologi) e ambientalisti (Legambiente), sottolineando che “ad essere in gioco non è solo la salute del nostro territorio ma la vita dei cittadini”

Il rapporto Ance-Cresme dice che “da poco più di 100 eventi di dissesto l’anno tra il 2002 e il 2006 siamo gradualmente arrivati ai 351 del 2013 e ai 110 solo nei primi 23 giorni del 2014…dal 2002 al 2014 si sono registrati circa 2000 eventi alluvionali con la perdita di 293 vite umane (24 solo nel 2013) oltre ai danni alle popolazioni, alle produzioni e alle infrastrutture”
In poco più di 100 anni ci sono state 12600 persone morte, disperse o ferite ed oltre 700mila sfollate.

Facendo un po’ la storia, si può prendere come anno zero il 1951, l’anno della grande alluvione del Polesine.
Con la legge 19 marzo 1952 n. 184, il Governo prevedeva un piano orientativo ai fini di una sistematica regolazione delle acque, con le leggi 31 gennaio 1953 n. 68 e 9 agosto 1954 n. 638 autorizzava la spesa per l’esecuzione di opere di sistemazione dei fiumi e dei torrenti (tra cui il Tartaro-Canalbianco-Po di Levante)
La frana di un pezzo del Monte Toc nel bacino del Vajont nel 1963, con i suoi quasi 2mila morti.
La grande alluvione di Firenze del 1966. Si istituì in quell’anno la Commissione De Marchi che riferì al Parlamento della necessità di investimenti di 10mila miliardi di lire di allora (corrispondenti a 100 miliardi di euro nel 2012) per dieci anni di opere di difesa del suolo, opere che non sono state fatte.

Paolo Buzzetti, Presidente dell’Ance (Associazione nazionale Costruttori Edili), ha detto: “Non possiamo continuare ad aspettare che siano le cronache dei giornali ad accendere i riflettori sul problema del dissesto idrogeologico. Ci sono risorse stanziate per la prevenzione ferme da 4 anni. Facciamo appello alle Istituzioni perché vengano immediatamente sbloccate”
Nel 2010 sono stati stanziati 2 miliardi di euro ma ne sono stati spesi solo 80 milioni portando a termine il 3,2% degli interventi anti-dissesto finanziati (3395 opere anti emergenza) mentre il 19% è in corso di esecuzione ed il 78% delle opere è ancora in fase di progettazione o affidamento.

Il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza: “Parole ne sono state dette troppe, spesso accompagnate da lacrime di coccodrillo. Ora subito tre misure: impedire che i fondi per la riparazione vengano impiegati per ricostruire le stesse opere che hanno causato le situazioni di rischio destinandole invece alla loro delocalizzazione, avviare un piano d’informazione alla cittadinanza, stabilire un piano finanziario consistente sulla base di un adeguamento tecnico-scientifico dei piani di bacino … Nel 31% dei Comuni a rischio insistono interi quartieri in aree ad alto rischio idrogeologico, solo il 4% delle abitazioni ed il 2% elle industrie situate in queste aree è stato delocalizzato. In Italia continua a proliferare una sorta di <industria della riparazione> mentre manca quella della prevenzione”
Il Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi Gian Vito Graziano: “Non è possibile affrontare una questione così complessa come il dissesto idrogeologico senza prima conoscerla almeno nelle sue componenti essenziali. L’informazione che si vuol dare ai cittadini … contribuirà a renderli più consapevoli del fenomeno ed a pretendere una reale azione di difesa del suolo, che purtroppo ancora manca nel programma politico italiano … La manutenzione dei nostri fiumi è la prima delle grandi opere necessarie al nostro Paese


Il rischio idrogeologico riguarda 6633 Comuni (l’82% del totale), oltre 5,7 milioni di cittadini che vivono in aree esposte al pericolo di frane ed alluvioni, 6251 edifici scolastici sui 64800 totali (più di 1 scuola su 10) sono localizzati in area di potenziale pericolo frana o alluvione, 547 strutture ospedaliere si trovano in zone a rischio, 46mila gli stabilimenti industriali in territori colpiti da dissesto che si decuplicano a 460mila se consideriamo anche gli uffici ed i negozi, per un totale di più di 1,2 milioni di edifici a rischio idrogeologico e 22 milioni di persone che abitano in un territorio a medio rischio idrogeologico.
19517 chilometri quadrati ad alta criticità geologica: il 9,8% del territorio nazionale. Un territorio fragile sul quale ci si dovrebbe poggiare come camminando sulle uova ed invece lo si attraversa con i bulldozer “consumando”, ricorda l’Ispra, 8 metri quadrati di suolo ogni secondo.

Nel periodo 2002-2012 sono stati effettivamente erogati quasi 2,3 miliardi di euro per i danni causati alle strutture ed alle infrastrutture, sui 4,5 miliardi totali stanziati. Dal 1998 sono oltre 2,4 miliardi di euro non spesi per ridurre stati di emergenza territoriali.
Il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane ed alluvioni negli ultimi 20 anni è di 242,5 miliardi di euro (più di 12 miliardi l’anno) mentre dal 1945 è pari a 3,5 miliardi di euro l’anno il costo pagato dallo Stato per danni e risarcimenti da frane ed alluvioni.

A gennaio 2013 Corrado Clini, l’allora Ministro dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare, chiese un Piano straordinario per il rischio idrogeologico stimando un fabbisogno di circa 40 miliardi di euro in 15 anni (meno di 2,7 miliardi l’anno) per mettere l’Italia in ragionevole sicurezza.

A febbraio 2014 l’Associazione Nazionale delle Bonifiche delle Irrigazioni e dei miglioramenti fondiari (ANBI) ha presentato la quinta versione della proposta di Piano per la riduzione del rischio idrogeologico in Italia elencando quelle 3383 opere che andrebbero eseguite con interventi stimati per circa 8 miliardi di euro. Un importo che è destinato a crescere molto velocemente visto che solo 5 anni fa, in una precedente edizione della proposta di Piano, si prevedeva circa la metà della spesa ( 4,1 miliardi di euro).

Erasmo D’Angelis, ex Sottosegretario di Stato del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti spiega che: “Da ottobre 2013 all’inizio di aprile 2014 sono stati richiesti dalle Regioni 20 stati di emergenza con fabbisogni totali per 3,7 miliardi di euro … La Commissione Europea ha già stabilito sanzioni nei confronti dell’Italia per diverse centinaia di milioni l’anno per mancata depurazione di scarichi urbani che vedono il nostro Paese tra i primi inquinatori in area Ue. Tali sanzioni potrebbero essere ridotte o cancellate solo se le opere previste saranno realizzate entro dicembre 2015”

Quindi niente furbate all’italiana, cambiare verso e non solo a colpi di slogan: agire con interventi mirati a salvaguardare il nostro Paese, prima che sia troppo tardi.

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