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sabato 16 aprile 2016

Per cosa si vota il 17 aprile

È primavera 2016 e siamo, come cittadini italiani, chiamati a votare per il referendum abrogativo sui progetti petroliferi in mare sbloccati nel 2012 dal governo Monti.

L'appuntamento è importante e, anche se l'argomento non è di immediata comprensione, in ballo potrebbe esserci il futuro dello sviluppo energetico del nostro paese.

Ecco il quesito che si troverà sulla scheda: “Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e si salvaguardia ambientale”?”

Il referendum riguarda solo le trivellazioni che vengono effettuate entro le 12 miglia marine (circa 22 km) e sono complessivamente 21: 7 in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Emilia Romagna, 1 nelle Marche e 1 in Veneto.

Queste trivellazioni sono effettuate da compagnie estrattive sulla base di una concessione che ha la durata iniziale di 30 anni e che poi può essere prorogata due volte per cinque anni ciascuna, per un totale di 40 anni. La norma inserita nella legge di stabilità dice invece che quando il periodo concesso termina, l'attività può essere continuata fino all'esaurimento del giacimento.

Si chiede semplicemente che si torni alla scadenza delle concessioni.

Il cuore politico della questione è la scelta di campo in tema di energia, clima ed ambiente.

Le trivellazioni nel nostro mare estraggono soprattutto gas metano, che copre circa il 10% del fabbisogno nazionale. Oggi l'Italia produce più del 40% della sua energia da fonti rinnovabili, con 60mila addetti tra diretti ed indiretti e con una ricaduta economica di 6 miliardi di euro.

Mentre si auspica l'aumento delle energie verdi, l'industria dei fossili riceve aiuti pubblici, diretti ed indiretti, per 5300 miliardi di dollari l'anno, pari al 6,5% del PIL mondiale. Inoltre la produzione e l'uso di energia da combustibili fossili rappresenta oltre il 75% delle emissioni totali che compromettono il clima del pianeta su cui viviamo.

Possiamo dare un segnale forte in favore di una scelta di sostenibilità futura ed una sterzata nella direzione delle fonti rinnovabili. La vittoria del “Sì” avrebbe un effetto politico e simbolico che potrebbe spingere la politica a fare passi verso le energie rinnovabili, a tal punto che potrebbe essere sintetizzato così: se sostengo l'energia fossile voto “No” mentre se “sostengo l'energia rinnovabile” voto “Sì”; votare “Sì” non vuol dire cancellare l'energia fossile da questo Paese e votare “No” non è evitare la perdita di posti di lavoro.

Alla Conferenza ONU sul Clima tenutasi a Parigi lo scorso dicembre, l'Italia e altri 194 Paesi hanno sottoscritto un impegno a contenere la febbre della Terra entro 1,5°C, perseguendo con chiarezza e decisione l'abbandono delle fonti fossili. Fermare le trivelle vuol dire essere coerenti con quest'impegno.

Ci troviamo davanti ad una schizofrenia della politica che non riesce a sintonizzare le strategie nazionali con gli impegni assunti in ambito internazionale.

Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima ed energia di Greenpeace Italia: “Ancora una volta su un tema vitale come il contrasto ai cambiamenti climatici, l'Italia dimostra scarso coraggio e mancanza di leadership… Inoltre, la credibilità del nostro Paese è pesantemente minata dai piani del governo nazionale che, inspiegabilmente, continua a puntare sulle trivelle, affossando rinnovabili ed efficienza”

Le politiche che oggi vengono portate avanti non le aveva promesse nessuno e l'Italia ha bisogno di una pianificazione strategica e questa non si fa con prospettiva a tre anni; 3 anni, infatti, è il tempo in cui si esaurirebbero le riserve di idrocarburi presenti in Italia. Per i più pessimisti, le riserve di petrolio presenti nel mare italiano basterebbero a coprire solo 7 settimane di fabbisogno energetico, quelle di gas appena 6 mesi.


Sicuramente la nostra dipendenza dall'estero per i prodotti energetici è pesante, però è da tenere in considerazione che oggi il prezzo degli idrocarburi è estremamente basso e ciò ci è favorevole. Questo prezzo sta mettendo in difficoltà i produttori che stanno riducendo fortemente gli investimenti destinati all'esplorazione ed alla ricerca di nuovi giacimenti.